I suoi articoli creano dipendenza, i suoi lettori lo amano perché racconta la Moda come fenomeno culturale a 360° in maniera realistica e oggettiva ma con quel tocco di elegante ironia da non riuscire a farti smettere di leggere. Scrittore, docente universitario, giornalista, firma del Corriere della Sera, di Vogue, oggi capo redattore di Marie Claire, Antonio Mancinelli è senza dubbio una delle voci più autorevoli del sistema Moda. È stato il primo uomo ad occuparsi e scrivere di moda negli ’80 quando la moda era un “feudo” tutto e solo al femminile e dove lui con grande tenacia e passione è riuscito non solo ad entrare ed affermarsi ma soprattutto a farsi benvolere da quelle che lui stesso definisce “le Signore della Moda”.
Ha conosciuto i grandi della Moda: Valentino, Capucci, Versace, Ferré e respirato la vera moda, quella dove creatività e sogno erano gli ingredienti principali e dove erano gli stessi stilisti a chiamarti per commentare insime il viaggio creativo delle loro collezioni. Un tempo lontano in cui la penna scorreva leggera su un foglio per raccontare non solo le nuove tendenze ma soprattutto per far sognare; una moda lontana anni luce dalle dirette Facebook, dalle stories di Instagram, da blogger e influencer.
“….Che tu scriva su un blog o su un giornale per me non fa differenza, assolutamente fondamentale è il COSA stai scrivendo, perché lo stai scrivendo e per chi lo stai scrivendo. Per poter scrivere bisogna avere un proprio punto di vista, un taglio ben preciso ed aver studiato…”
Ho avuto la fortuna qualche anno fa di conoscere Antonio di persona e da quel giorno amo leggere i suoi articoli, i suoi libri, di ascoltare le sue lezioni o i suoi interventi. Oltre a stimarlo come professionista per me è un amico a cui sono molto affezionato e che ringrazio di cuore per avermi concesso questa bellissima intervista.
Da molti anni – per fortuna – sei una delle voci più autorevoli del sistema MODA. Per Antonio Mancinelli il mondo della Moda per non ha segreti. Cosa ricordi del tuo primo giorno in redazione e quale è stato il tuo primo pezzo?
Me lo ricordo perfettamente in quanto fui vittima di una vera e propria discriminazioneessendo stato il primo uomo ad occuparsi in modo specifico di moda. Ricordo perfettamente il primo articolo che ho scritto per il Corriere perché fu divertentissimo; arrivai alla mia prima sfilata dicendo che ero Mancinelli e chiedendo quale fosse il mio posto. Il bodyguard all’ingresso rispose che era impossibile che io fossi la Signora Mancinelli e che quel posto era riservato ad una donna, nonostante io continuassi a ripetere che la Signora Mancinelli ero io. Fu un momento di grandissimo imbarazzo perché non mi conosceva nessuno, ero un ragazzo e all’epoca c’erano queste Signore, giornaliste della moda molto famose che poi mi adottarono, delle professioniste gentilissime. Ricordo che subii una vera e propria discriminazione anche fisica in quanto il bodyguard mi allontanava spintonandomi fino a quando non arrivò l’ufficio stampa a confermare la mia identità e che il Mancinelli non era una donna come tutti si aspettavano ma un giovane ragazzo. Ed oggi che c’è molta attenzione sul tema e si parla molto di discriminazione, mi fa sorridere ricordare quello che ho vissuto perché in qualche molto suscitai molto scalpore. Negli anni le grandi Signore della moda, a cui accennavo prima, mi adottarono davvero prendendomi sotto la loro ala protettiva e insegnandomi molto. Una cosa che ci tengo a dire è che io essendo di Roma ho faticato un po di più ad entrare in quel mondo a me sconosciuto ma con grande piacere sono riuscito a vedere e conoscere il grande Valentino, Capucci, Ferrè, Versace; l’ultima parte della grande e vera Moda Italiana. Ferrè fu la mia primissima intervista, scrissi talmente bene della sua sfilata che mi contattò il suo ufficio stampa chiedendo chi fossi e invitandomi a presentarmi di persona al grande Ferrè che rimase molto colpito nel vedere che non ero una signora della moda ma un giovane ragazzo. In quegli anni, la cosa bella per noi giornalisti, era la possibilità di avere con estrema facilità il contatto diretto con gli stilisti che addirittura ti chiamavano a casa per commentare e fare modifiche sul pezzo in uscita. Un’altra cosa bella di quegli anni era la maggior libertà nella scrittura e nella critica; oggi è un po’ più difficile, è tutto più controllato.
Hai dichiarato: “…Essere un critico di moda, significa interpretare la società attraverso i vestiti e per questo motivo dobbiamo sapere chiaramente cosa sta succedendo nel mondo che ci circonda; abbiamo doveri etici molto importanti…”. Oggi secondo te in che modo la Moda racconta e interpreta la società?
La Moda è sempre e comunque un riflesso della società anche quando si pensa che non lo sia, c’è sempre una corrispondenza tra quello che accade nel mondo, nella politica, nella cultura, nell’arte. Il problema è soprattutto italiano, perché all’estero non è così. C’è ancora qualcuno che considera il giornalismo di moda come qualcosa di superficiale, frivolo e privo di sostanza, rispetto a chi si occupa di cronaca o politica. Oggi fortunatamente anche in Italia le cose stanno cambiando e se vuoi diventare seriamente giornalista di moda, bisogna studiare moltissimo, bisogna interessarsi di tutto: dall’arte contemporanea, al corona virus, all’andamento economico, alle mostre, perché poi il risultato di tutto questo sarà un’immagine proiettata sulle passerelle che sicuramente rifletterà l’andamento sociale. È per questo che c’è bisogno non solo di studiare ma anche di interessarsi d’altro. Per me è molto importante conosce persone che non si occupino solo di moda ma che mi spieghino ad esempio l’andamento economico o la diffusione e le conseguenze del corona virus, che mi spieghino l’arte contemporanea perché inevitabilmente la moda avrà dei link con tutto questo. Sono tutte chiavi per interpretare la società che poi prendono forma, diventano business, diventano arte una volta diventati abiti sulle passerelle.
I tuoi articoli creano dipendenza, i tuoi lettori e follower amano leggerti e aspettano con ansia i tuoi reportage. Che cosa amano di te?
Perché cerco di non ingannare nessuno, cerco di dire sempre quello che penso e cerco di scrivere qualcosa che a me piacerebbe leggere e quindi di non avere mai un tono troppo serioso ma di dire cose molto serie in maniera ironica. Cerco di guardare questo mondo sempre un pochino come se ne fossi al di fuori, in realtà io non frequento molto il mondo della moda se non durante le sfilate. Probabilmente c’è anche il fatto che scrivo in maniera molto diretta e cerco di fare anche delle connessioni ad esempio con l’ultimo film in proiezione nelle sale, con una mostra, con una serie di Netflix. Credo che il vero compito di chi fa il mio mestiere sia di parlare in maniera estremamente leggera, come diceva Calvino nelle Lezioni Americane: “la leggerezza è gravità senza peso” cioè di essere molto seri ma non pesanti. A me ad esempio piacerebbe leggere appunto articoli seri ma non pesanti. Quindi forse è per questo che le persone amano leggermi.
Alexander Mc Queen e Martin Margela due grandi personaggi della Moda che per ragioni diverse hanno cambiato la Moda. A chi ti senti più vicino ? In che modo hanno cambiato la moda?
Mi sento molto vicino ad entrambi. Affettivamente mi sento molto più vicino a McQueen perché è stata l’intervista più bella della mia vita. L’ho intervistato due anni prima che si togliesse la vita, a Londra, un’intervista durata due ore in cui ci siamo psicoanalizzati a vicenda, siamo usciti entrambi piangendo da questo incontro in cui più che un’intervista è stata davvero una seduta di psicoterapia che lui faceva a me ed io a lui. Entrambi hanno rivoluzionato sicuramente il modo di guardare non solo la moda ma anche le donne in una maniera assolutamente nuova. McQueen lo ha fatto attraverso una moda che forse oggi sarebbe giudicata scorretta; quando metteva le donne nelle gabbie con allusioni a sadomaso e ad una sessualità estrema in realtà mi ha confessato, durante l’intervista, che lo faceva per difenderle dagli uomini. Lui aveva avuto una storia personale molto dura, l’unica persona che lo ha sempre amato è stata la mamma che purtroppo ha perso due mesi prima del suo suicidio. Lui è stato un genio perché univa alla capacità tecnica una capacità visionaria assoluta. Non ho mai conosciuto Margiela perché ha optato per l’anonimato, geniale anche in quello ed è senza dubbio uno dei grandi del ‘900; in qualche modo ha inventato dal nulla quella che oggi è una metodologia utilizzata da tantissimi stilisti; quella del riutilizzo, del riuso. Mi ricordo sfilate fatte con i sacchi della spazzatura, con i copriletto comprati al mercatino e quindi dell’unione di alto e basso, di materiali molto poveri con materiali molto ricchi; metodo che oggi è usato da molti stilisti di cui lui è stato veramente il pioniere. Aggiungerei che un altro grande genio è stato Karl Lagerfeld che ho intervistato più volte con grande piacere, lui mi ha insegnato che si può essere avanti nell’età ma modernissimi di testa È stato forse il designer in assoluto più all’avanguardia che abbia mai incontrato. Una persona coltissima che conosceva 7 lingue, leggeva un libro al giorno con una capacità di registrazione del presente assoluta. Una modernità pazzesca e una capacità di decifrare il presente che gli veniva dal fatto di essere profondamente curioso, la più grande dote che secondo me oggi si sta perdendo.
Un giornalista sta a un blogger come…
Io direi che dipende dai blogger e dipende dai giornalisti. Io non sono uno di quei giornalisti che si scandalizza dei blogger perché trovo che ci siamo alcuni blogger, mi dispiace dirlo, soprattutto stranieri, molto gradevoli ed estremamente interessanti. Se io scrivo su un sito o sulla carta stampata resto sempre io. Quello che mi dà fastidio è leggere ahimè su alcuni blog cose per niente originali, persone che si limitano soltanto a copiare i comunicati stampi. Che tu scriva su un blog o su un giornale per me non fa differenza ma assolutamente fondamentale è il COSA stai scrivendo, perché lo stai scrivendo e per chi lo stai scrivendo. Ci sono per esempio degli ottimi blogger come Susie Lau – @susiebubble – invitata al Victoria Alber Museum come curatrice di mostre perché ne sa molto di storia della moda. Io non vedo competizione alla fine vince sempre la qualità che sia di scrittura o di conoscenza. Stanca molto leggere blogger che pensano che CHANEL sia nato con Karl Lagerfeld o DIOR sia nato con John Galliano significa semplicemente che c’è solo una grande voglia di esibizionismo. Questo si ricollega alla domanda precedente sul perché le persone amano leggere i miei articoli; io credo che bisogna comunque esprimersi correttamente e sforzarsi; che si sia blogger, giornalista o influencer, bisogna avere un proprio punto di vista, un taglio ben preciso ed aver studiato. Il mio taglio è di unire molto la moda alla società, un’altra persona può unire la moda alla storia dell’arte. C’è per esempio una bravissima blogger americana diventata famosissima Leandra (Medine) che ha iniziato a scrivere sul suo blog ormai quasi 20 anni fa – Man Repeller – ossia quello che fa schifo ad un uomo. In chiave erotica, stile sex and the city ma in ambito moda, unisce la difficoltà di alcune ragazze a trovare un vestito di una taglia che potesse star loro bene, con un taglio e un punto di vista molto personale e quindi unico. Se devo leggere quello che trovo già su una cartella stampa preferisco fare altro.
Haute Couture e haute Cousine cosa hanno in comune?
Ma si probabilmente si. Non sono cosi esperto di haute cuisine come lo sei tu ma credo che forse la cosa che accomuni un certo tipo di nouvelle cousine alla haute couture sia una ricerca molto profonda e poi l’espressione di un pensiero, di uno stile. Esiste una cucina alla Ferran Adrià come è esistita negli anni ’70, una cucina alla Marchesi e quindi credo che anche in questo campo bisogna avere un proprio punto di vista, bisogna fare una grande ricerca. Se voglio andare a mangiare un piatto di haute cousine mi aspetto innanzi tutto una estrema qualità degli ingredienti, cosi come nell’alta moda mi aspetto un’estrema qualità della base, dei tessuti dei ricami e una perfezione assoluta che riguarda non soltanto quello che si è cucinato ma anche il modo di presentarlo al pubblico. Un mio caro amico, uno dei più grandi chef a livello europeo, Ciccio Sultano a Ragusa ha studiato le lampade del suo ristorante in modo che la luce vada solo sui piatti e non sui volti dei commensali; perché mangiare un piatto di haute cousine è esattamente come indossare un abito di alta moda: deve essere un’esperienza indimenticabile. E credo che l’haute cousine sia non solo il frutto di un proprio linguaggio personale ma anche la possibilità di creare dei piatti come se fossero su misura. Penso che la vera cucina, come la vera alta moda, nasca dalla semplicità che però richiede delle leggi ferree, ingredienti migliori del momento, attenzione nella cottura come nella confezione degli abiti, un’attenzione e amore in quello che si fa che non può esistere nel fast food così come nella fast fashion.
Un piatto a cui sei particolarmente legato e a cui non puoi rinunciare.
Un piatto a cui non so rinunciare… in realtà ce ne sono tanti, lotto sempre con la bilancia per poter entrare nei vestiti. Un piatto a cui non so rinunciare ahimè sono i dolci: il cioccolato in particolare anche se non è un piatto però tutto quello che ha a che fare con il cioccolato ha su di me un potere assolutamente terapeutico, mi sento più di buonumore. Detto questo mi piacciono molto i primi e comunque tutta la cucina in generale.
Se avessi una seconda change nella vita cosa faresti?
La mia vera vocazione era quella di fare il regista, il regista di film, perché la mia passione oltre alla moda è il cinema. Quando ero adolescente oltre ad aver fatto a volte l’attore mi sarebbe piaciuto tantissimo proprio dirigere. Così come spero di aver creato un mio stile nella scrittura mi sarebbe piaciuto molto creare un mio mondo con delle immagini, delle storie.
I diritti e la realizzazione del video sono di POLIMODA Firenze in occasione di una Lecture presenziata da Antonio Mancinelli. (RENDEZ-VOUS WITH ANTONIO MANCINELLI)